A febbraio è stata pubblicata sul British Medical Journal (Bmj) una ricerca* che mostra come il consumo quotidiano di alimenti super-raffinati e processati aumenti il rischio di tumore del 10%. In questa ricerca, svolta in Francia su 105.000 persone seguite per 9 anni, si è collegato il rischio del tumore con il consumo dei seguenti alimenti ultra-trasformati:
1) pane, focacce, pane da hamburger confezionati e prodotti industrialmente; 2) snack dolci e salati confezionati; 3) dolci e snack industriali; 4) bibite e bevande zuccherate; 5) polpettine, bocconcini di pollo e pesce fritti e altri prodotti della carne ricostituita e trasformata con aggiunta di conservanti diversi dal sale (ad esempio, nitriti); 6) spaghetti e zuppe pronte istantanee; 7) prodotti pronti da mangiare congelati o precotti stabili (8) altri prodotti alimentari preparati gran parte o interamente a partire dallo zucchero, oli, grassi e altre sostanze non comunemente utilizzate in preparazioni culinarie, quali oli idrogenati, amidi e proteine isolati.
Questa ricerca punta nuovamente il riflettore sul problema di alimentarsi quotidianamente con alimenti raffinati e trasformati industrialmente, alimenti che non esistevano fino a pochi decenni fa. Vorrei quindi sottolineare quanto sia importante il concetto di INTEGRALE, intendendo con questo termine non solo la questione delle fibre, della crusca, delle vitamine e sali minerali, presenti nella parte esterna degli alimenti vegetali che vengono tolti durante il processo di raffinazione, ma INTEGRALE nel senso di INTEGRO, OLISTICO, dell’INTERO, dell’UNITA’, in un mondo in cui si tende invece sempre più a separare, differenziare, dividere e spesso discriminare chi o ciò che è diverso, separato da noi.
Spesso durante le mie consulenze o durante le conferenze mi viene chiesto se non sia un problema per l’essere umano consumare tanti alimenti integrali, e per alcuni il rinunciare agli alimenti raffinati moderni (pasta, riso, pane e prodotti da forno bianchi, zucchero, ecc.) sembra essere un punto di vista un po’ integralista, fondamentalista, eccessivo. Bisogna però tenere presente che per migliaia di anni l’essere umano si è adattato a consumare il cibo in forma integrale, in quanto non disponeva della tecnologia sufficiente per raffinare e trasformare gli alimenti nel modo moderno. L’integrale era quindi la normalità, il quotidiano.
Una caratteristica del pensiero moderno occidentale è invece quello di scomporre, separare ogni fenomeno della natura, incluso il cibo, nei suoi numerosissimi elementi costituenti, nel tentativo di comprendere di cosa è fatto un fenomeno o un cibo, di comprendere come fa a funzionare, un po’ come smontare un orologio per comprendere come fa a muoversi la lancetta.
E’ il frutto del pensiero moderno basato sull’importanza del singolo, dell’individualità invece che della comunità, del separare ciò che è diverso o che si considera non utile invece che integrare ed accogliere la diversità in quanto parte dell’unità, dell’intero movimento di pensiero che non riguarda unicamente il cibo, ma il modo di vedere ed interagire con la realtà, la vita. In questo modo però spesso si perde l’intero, l’unità e non si riesce a vedere che effetto ha quel cibo nella sua globalità sul nostro organismo; si conosce cosa fanno i carboidrati, le proteine, i grassi, ogni singola vitamina e sale minerale di quell’alimento ma non si riesce a sommare tutti questi effetti per comprendere cosa realmente fa un alimento nella nostro corpo.
Tale punto di vista non permette quindi di considerare un cibo nella sua interezza, integralità, ma si tende spesso a togliere sostanze che si considerano non utili o che tecnicamente danno problemi alla lavorazione industriale. Si giunge così a giocare con il cibo come con il LEGO dei bambini: scomporre un cibo, estrarre i mattoncini di cui è fatto e poi costruire un nuovo cibo con i mattoncini a disposizione, non usando quelli che non si considerano utili.
Quanto spesso leggendo le etichette dei prodotti confezionati troviamo sostanze come: sciroppo di glucosio, monodigliceridi degli acidi grassi, aromi, siero del latte in polvere, proteine del latte, glutine, correttore di acidità, coloranti, ecc. Come sottolinea quindi la ricerca scientifica sopra citata “I processi industriali comprendono in particolare l’idrogenazione, l’idrolisi, l’estrusione, lo stampaggio, il rimodellamento e la pre-elaborazione con la frittura. Aromatizzanti, coloranti, emulsionanti, umettanti, dolcificanti senza zucchero e altri additivi cosmetici sono spesso aggiunti a questi prodotti per imitare le proprietà sensoriali degli alimenti non trasformati o minimamente trasformati, e loro preparazioni culinarie, o per mascherare qualità indesiderabili del prodotto finale” *.
La mentalità moderna preferisce quindi non utilizzare gli alimenti come madre natura li ha creati ma creare nuovi cibi in laboratorio che siano il più possibile piacevoli al palato, in modo da soddisfare l’esigenza del gusto dei consumatori, ma che perdono moltissimo in fatto di salubrità. Mentre infatti nel cibo integrale le sostanze nutritive sono presenti in quantità e combinazioni prestabilite dalla natura e consumate dall’uomo in migliaia di anni, nei cibi industriali le quantità e combinazioni sono stabilite in base alla questione del gusto, della conservabilità, o altri fattori non legati alla salubrità.
Un esempio può essere quello di un chicco integrale di cereale, che se messo nelle giusta condizioni di umidità, calore e buio, germoglierà dando nuova vita a centinaia di altri semi; il seme quindi ha dentro di se la potenzialità di creare la vita. Se invece si schiaccia il chicco con un martello (o lo si macina), nutrizionalmente ho tutte le sostanze nutritive ancora presenti ma non è più in grado di germogliare e riprodursi; ha perso la capacità di creare vita!
Per INTEGRALE quindi non intendo semplicemente la farina o la pasta integrale (magari creata con farina raffinata addizionata di crusca) ma voglio intendere l’alimento integro, nella sua totalità, come madre natura lo ha creato: il cereale integrale, il legume, i semi oleosi, ma anche le verdure, la frutta, le alghe. Fortunatamente la scienza moderna, da qualche tempo inizia a riscoprire l’importanza del cibo integrale per l’essere umano, risottolineando con termini moderni quanto è sempre stato applicato dalle tradizioni alimentari antiche. La nutrizione ci aiuta a comprendere che il cibo integrale è più ricco di :
1. fibre, che regolano le funzioni dell’intestino, nutrono la flora batterica intestinale, stimolano il sistema immunitario, riducono l’indice glicemico degli alimenti, riducono il rischio di tumori all’intestino, ecc.
2. Sali minerali, con le loro numerosissime funzioni tra cui il loro effetto alcalinizzante, per contrastare l’acidità corporea.
3. Vitamine, anch’esse vitali e fondamentali
Ma gli effetti dell’integrale vanno ben oltre le reazioni chimico-fisiche che creano nell’organismo. E’ curioso infatti notare che nelle civiltà occidentali che hanno sviluppato sempre più un’alimentazione basata sulle farine, si è creata una mentalità scientifica-riduzionista-specialistica, mentre nelle civiltà orientali che hanno consumato molto di più i cereali in chicco si è sviluppato un pensiero olistico-energetico.
L’integrale, in particolare nella forma del chicco, del seme, può quindi diventare uno strumento per ritrovare il nostro equilibrio interno e con il mondo esterno, perché l’integrale ha la capacità di darci INTEGRITA’, in un mondo che accentua la separazione e crea in noi un senso di non – appartenenza, di alienazione dall’ambiente e dalle persone che ci circondano, condizione essa stessa fonte di malessere e malattie.
L’integrale quindi ha la capacità di farci sentire parte del tutto, farci sentire connessi con l’universo in cui viviamo, ridonandoci equilibrio, pace e serenità, sciogliendo il senso di separazione e solitudine che spesso si vive nella società moderna.
*Consumption of ultra-processed foods and cancer risk: results from NutriNet-Santé prospective cohort BMJ 2018; 360 doi: https://doi.org/10.1136/bmj.k322 (Published 14 February 2018) Cite this as: BMJ 2018;360:k322 Fonte: http://www.bmj.com/content/360/bmj.k322